Radicofani nel Decameron

A Radicofani, in provincia di Siena e precisamente nella parte meridionale della bellissima Val D’Orcia, è ambientata la novella X, 2 del Decameron narrata da Elissa. La novella ha come protagonista, Ghino di Tacco, gentiluomo della famiglia senese dei signori della Fratta, che, dopo esser stato scacciato da Siena, a causa dei suoi furti, occupò il castello di Radicofani e lo rivolse contro il Papa. Così dice Boccaccio: “Ghino di Tacco, per la sua fierezza e per le sue ruberie uomo assai famoso, essendo di Siena cacciato e nimico de’ conti di Santa Fiore, ribellò Radicofani alla Chiesa di Roma”.

Dal Castello di Radicofani si poteva dominare tutto il territorio posto tra il Monte Cetona, la Val D’Orcia e il Monte Amiata, e ai suoi piedi passava un antico passo della via Cassia poi Francigena o Romea e fu senza dubbio questo a determinarne la sua storia da sempre legata a questa strada. Era infatti importante avere nella strada che portava alla Chiesa di Roma dei Castelli che controllavano il traffico da e per Roma. Il Castello venne fortificato a partire dal XII secolo da papa Adriano IV e poi da Papa Innocenzo III: Radicofani era assai conteso per la posizione strategica al confine tra i possedimenti della Chiesa e dello stato Senese. Verso la fine del XIII secolo (circa il 1295) divenne feudo di Ghino di Tacco, che dopo essersi impadronito del castello iniziò a derubare coloro che passavano da quelle parti “in quel dimorando, chiunque per le circustanti parti passava, rubar faceva a’ suoi masnadieri”, e nel centro del paese si può ammirare la statua di Ghino di Tacco, a cui questa cittadina è profondamente legata.

La novella è ambientata alla fine del Duecento. Il Papa era Bonifacio VIII, e presso di lui si recò l’Abate di Cluny, uno fra i più ricchi abati della Chiesa nel mondo. L’abate soffriva di mal di stomaco, e fu consigliato dai medici del Papa di recarsi ai Bagni di Siena per curarsi: “Ora, essendo Bonifazio papa ottavo in Roma, venne a corte l’abate di Clignì, il quale si crede essere un de’ più ricchi prelati del mondo; e quivi guastàtoglisi lo stomaco, fu da’ medici consigliato che egli andasse a’ bagni di Siena, e guerirebbe senza fallo”.

Con la figura di Ghino di Tacco e di Papa Bonifacio VIII (nominato anche nella X,2,6; I,1; VI,2) viene inquadrato il periodo storico: siamo alla fine del Duecento. Boccaccio riconosce l’importanza di Bonifacio VIII, che nasce ad Anagni, cittadina laziale dove sono nati quattro pontefici. Fu lui ad indire il primo Giubileo del 1300, l’Anno Santo, con il quale si assicurava indulgenza a tutti quelli che facevano visita alle Basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le mura a Roma, e fu lui che istituì che l’Anno Santo si sarebbe ripetuto ogni cento anni.  Il Giubileo contribuì ad accrescere la fede e a rassicurare i religiosi con la pratica delle indulgenze. Oltre ciò attraverso l’afflusso dei pellegrini a Roma da tutto il mondo si crearono dei circuiti economici rilevanti che portarono un notevole apporto di denaro, e contemporaneamente esaltarono la magnificenza di Roma e il prestigio del Papato nel mondo intero.

Ghino di Tacco venuto a conoscenza del viaggio dell’abate verso i “bagni di Siena”, “tese le reti”, lo catturò e lo fece portare insieme a tutto il suo seguito, al castello. L’abate, secondo il volere di Ghino, “tutto solo fu messo in una cameretta d’un palagio assai oscura e disagiata”, mentre tutti gli altri uomini vennero alloggiati comodamente nel castello. E qui Ghino, che quando era giovane aveva studiato medicina, decise di curarlo dal suo mal di pancia senza farlo recare ai Bagni di Siena “faccendo nella cameretta sempre ardere un gran fuoco” e “in una tovagliuola bianchissima gli portò due fette di pane arrostito e un bicchiere di vernaccia da Corniglia”. L’abate dopo aver bevuto la vernaccia, mangiato il pane e le fave secche lasciate da Ghino già dopo qualche giorno si sentiva meglio. E così Ghino fece apparecchiare un bel pranzo insieme a tutti gli uomini del castello dove vennero serviti “buone vivande e buoni vini”. L’abate si svagò e tutti i famigliari gli riferirono di essere stati onorevolmente trattati da Ghino. Dopo essere guarito l’abate di Cluny, venne liberato e in gran pompa con aiutanti, asini e cavalli, e diversi oggetti, se ne ritornò a Roma.

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